La Treccani e l’Oxford Dictionary definiscono “expat” colui che si stabilisce temporaneamente o definitivamente all’estero per motivi di lavoro mentre definiscono “immigrato” colui che si stabilisce definitivamente in un altro paese. Il termine espatriato si riferisce a professionisti istruiti, lavoratori qualificati che assumono incarichi al di fuori del loro paese d’origine, in modo indipendente o inviati all’estero dai loro datori di lavoro. (cit. di Wikipedia).
Per scrivere questo articolo mi sono documentata su siti italiani e esteri per avere una visione ampia e completa ma mi sono resa conto che è difficile approcciare questo argomento senza inciampare nel “razzismo”. Ho deciso di dare una lettura differente: immigrato è una definizione “vecchia”. L’italiano che alla fine dell’800 lasciava il paese per cercare fortuna in America, lasciando per sempre l’Italia e la famiglia. Expat è la definizione “moderna” di chi decide di spostarsi in un altro paese, spesso temporaneamente, per motivi lavorativi. Gli expat si spostano avendo già un lavoro, un visto e la possibilità di trasferirsi con l’intera famiglia. In questo caso l’esempio che vi posso fare è il mio. Abbiamo deciso di trasferirci e diventare expat per fare un’esperienza di vita.
Tra me e l’italiano che partiva per l’America c’è una differenza fondamentale: la motivazione che ci ha spinti a prendere la decisione di lasciare l’Italia. La parola expat è nata per definire una particolare tipologia di flusso migratorio che in Italia viene anche chiamata “fuga di cervelli” – definizione che non mi piace per nulla.
Nelle mie ricerche mi sono imbattuta in un altro blog che da una visione meno “romantica” di quella che ho dato io : potete leggerlo cliccando qui. Cito testualmente: “Comunque sia, senza falsa ipocrisia, si riduce tutto a una questione di potere, se hai la domestica locale, sei un expat, provieni da un paese ricco e hai un potere di acquisto diverso. Anche se con un lavoro altamente qualificante un africano sarà sempre considerato un immigrato in Europa, mentre accade esattamente l’opposto andando in un paese economicamente meno sviluppato.” La frase: “gli expat se la tirano, invece gli immigrati provano a fare i locals, non la trovo corretta”. E’ troppo generica, riduce tutto a una questione di soldi che non è calzante. Sono troppo idealista e poco realista? Una cosa è certa: quando frequenti un ufficio immigrazione sei e sarai sempre uguale a un africano, a un nepalese o un arabo. La differenza non possono essere solo i soldi ma come dicevo prima, le motivazioni, le necessità e gli obiettivi che portano le persone a fare determinate scelte.
Parlo di scelte perchè la mia lo è stata. Ma siamo sicuri che l’italiano che lasciava la famiglia avesse avuto la stessa possibilità? Non potrebbe essere questa la differenza tra un expat e un immigrato? E’ la situazione di partenza che cambia, indipendentemente dal paese di origine o dal colore della pelle.
Diverso è come uno si sente nei paesi “adottivi” e credo che in questo senso mi possa aiutare l’uso delle parole corrette per definire la mia esperienza: A Dubai non mi sentivo straniera, in Finlandia mi sento straniera.
Ma l’articolo sulle differenze tra le due esperienze lo scriverò più avanti.
Baci #ladylifestyle